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De Minaur: L’Autocritica e il Lavoro sulla Crescita Mentale nel Tennis

Una confessione sussurrata prima del fischio d’inizio dice molto più di mille esultanze. Alex de Minaur, il “Demon” che corre più veloce dell’ansia, apre il sipario su quel campo che non vediamo: la testa. E da lì, la partita sembra un’altra.

De Minaur: L’autocritica e il lavoro sulla crescita mentale nel tennis

All’inizio di stagione si sente l’odore di resina e di attese. I giocatori ripassano schemi, gambe e timing. Alex de Minaur, invece, aggiunge un capitolo diverso. Non parla di dritto o di servizio. Parla di sé. Lo fa con Esquire Australia, come riportato da Spazio Tennis, e la chiave è semplice e spiazzante: “A volte sono troppo duro con me stesso.” La frase pesa. Non per fragilità. Per onestà.

Il percorso di De Minaur

Prima di arrivarci, vale un passo indietro. De Minaur è il corridore instancabile, l’antitesi dell’errore gratuito. È il ragazzo che l’Australia chiama “Demon” per quella combinazione di gambe, anticipo e resilienza. Nel 2024 è entrato in Top 10 (fonte: ATP Tour). A inizio anno ha battuto Novak Djokovic alla United Cup, 6-4 6-4, una firma che non si cancella (fonti: United Cup, ATP). A Wimbledon si è fermato sul più bello per un problema all’anca, alla vigilia dei quarti: dettaglio duro, ma reale. Questo è il suo livello. Questo è il suo contesto.

La crescita mentale nel tennis

Eppure, a metà di questo profilo da professionista solido, spunta il punto centrale: la crescita mentale. De Minaur ammette l’autocritica eccessiva. Non è un caso isolato. Nel tennis d’élite, l’errore pesa più della soluzione. La mente ingigantisce la smorfia, minimizza la buona scelta. Se l’asticella sale, la voce interna rischia di trasformarsi in rumore.

La gestione della pressione

Come si lavora, allora, su quel rumore? Con strumenti pratici. Con routine tra un punto e l’altro. De Minaur le usa da tempo: tempi brevi, sguardo basso, respiro. La logica è chiara: spezzare l’inerzia emotiva e riportare il cervello a target. Un esempio concreto: 30-30, terzo set. Tre respiri. Un obiettivo semplice di esecuzione (“servizio sul corpo”). Un’uscita dal colpo già programmata. Niente giudizi, solo compiti. È un modo per trasformare la “performance” in processo. Non ci sono dati pubblici sul suo uso di uno psicologo dello sport; il suo team non lo ha confermato. Ma il vocabolario che usa – focus, gestione della pressione, auto-dialogo – è quello dei protocolli moderni.

Il risultato del lavoro mentale

L’effetto si vede nelle partite lunghe. Meno gesti impulsivi. Più scelte percentuali. E una statistica indiretta ma indicativa: nel 2024 ha sommato vittorie di peso su top player e ha mantenuto ranking e rendimento su superfici diverse (fonte: ATP Tour). Questa coerenza operativa è spesso il primo segnale di un lavoro mentale efficace.

Autocritica e ambizione

C’è anche un tema umano. L’autocritica è parente stretta dell’ambizione. Tagliarla del tutto sarebbe ingenuo. Il punto è saperla modulare. “Essere esigente senza diventare punitivo” è la formula che molti coach ripetono. Nel suo caso, fa rima con pazienza, qualità spesso scarsa nel circuito. Perché quando il gioco accelera, la mente vuole giudicare. La disciplina sta nel rimandare quel giudizio.

La lezione di De Minaur

E noi? Quante volte trasformiamo un errore in identità? Forse la lezione di De Minaur sta qui. Non nella vittoria contro un campione, ma nel coraggio di sgonfiare la voce interna. Il campo resta lo stesso. Cambia il dialogo. Ed è lì che una partita si ribalta senza effetti speciali. La prossima volta che il punteggio scotta, proveresti anche tu tre respiri e un compito semplice, invece di un verdetto?

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