Allarme pensione: l’analisi dell’INPS crea panico tra i lavoratori

Non arrivano buone notizie da una recente analisi dell’INPS, e nemmeno dal Governo, ecco cosa accadrà alle nostre pensioni. 

Che il sistema pensionistico sia “fallace” da più punti di vista lo abbiamo compreso da un po’ e c’è grande attesa – nonché preoccupazione – per le decisioni della prossima Manovra finanziaria.

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Dall’analisi dell’INPS emergono preoccupazioni per i giovani lavoratori e non solo – Grantennistoscana.it

Sono diversi i rumors secondo cui il Governo Meloni non riuscirà a prorogare le tanto attese formule pensionistiche “opzione donna” o “quota 103”. Non mancano le indicazioni arrivate dal Fondo Monetario Internazionale, che ha “bacchettato” la Premier, sostenendo che l’ipotesi di ampliamento di accesso anticipato alla pensione sia controproducente.

Nel contempo arriva un’analisi effettuata dall’istituto di previdenza Nazionale, che lascia poco spazio alle speranze: i giovani non avranno accesso ad una pensione adeguata. La “sentenza” è scaturita a seguito di un accurato studio.

Cosa ipotizza l’analisi dell’INPS

Oggi per andare in pensione di vecchiaia servono almeno 20 anni di contributi pieni e un’età anagrafica di 67 anni, anche se esistono altre opzioni. Di fatto, le generazioni passate di cittadini contribuenti possono ambire a una pensione minima, sfruttando qualche “ponte”, oppure lasciare anticipatamente il lavoro in caso rispettino alcuni requisiti.

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I numeri emersi dal report INPS non sono rassicuranti per gli under 35 – Grantennistoscana.it

Per i giovani, però, soprattutto quelli nati a cavallo degli anni ’80, il discorso è ben diverso. Purtroppo nell’ultimo ventennio il lavoro ha cambiato forma, e non è più garantito come un tempo, cioè continuativamente. In passato, molte persone entravano in un’azienda e ci rimanevano fino all’età del ritiro. Oggi i giovani – e non solo – si ritrovano con lavori saltuari, contratti brevi o con formulazioni che non prevedono l’accumulo contributivo e maturare abbastanza anni/contributi diventa sempre più difficile.

Secondo l’analisi del Consiglio nazionale dei giovani, oggi chi ha fino a 35 anni dovrà attendere di arrivare a 74 anni per andare in pensione. Ma non è tutto. Nello studio effettuato dall’INPS insieme a EURES emerge che i lavoratori di oggi oltre a dover attendere il 74esimo compleanno, riceveranno una pensione inferiore ai mille euro, insufficienti a vivere una vecchiaia dignitosa.

I numeri inquietanti emersi dalla ricerca

L’allarme lanciato dall’INPS non riguarda solamente il rischio pensioni, ma offre una panoramica dell’andamento del mondo del lavoro. Purtroppo, ciò che un tempo veniva spacciato per “flessibilità” si è rivelato un boomerang contro le categorie di cittadini più fragili, come i giovani e le donne

La precarietà, il lavoro discontinuo, la mancanza di garanzie e le retribuzioni non in linea col costo attuale della vita stanno falciano sempre più italiani. Che si ritrovano poveri oggi e senza speranze future.

Quello che non funziona oggi, infatti, si riverserà impietosamente anche sulla pensione, che dovrebbe invece garantire una vecchiaia serena. Il sistema contributivo sta mostrando tutta la sua fallacità: le persone dovranno lavorare sempre di più per ottenere assegni sempre più bassi.

pensioni basse per i giovani
I giovani si ritroveranno con pochi soldi di pensione – Grantennistoscana.it

L’INPS ha elaborato una serie di dati e ciò che emerge è molto preoccupante:

  • i lavoratori under 35 potranno andare in pensione a circa 69,8 anni e con un assegno lordo di 1249 euro, che al netto significa 951 euro. Una cifra già inadeguata oggi, figuriamoci in futuro.
  • per avere una pensione di soli 1.093 euro netti, i lavoratori under 35 dovrebbero lavorare fino a 73,6 anni.
  • le partite iva, sempre riguardanti gli under 35, maturerebbero una pensione “da fame” pari a 1128 euro netti, all’età di 74 anni.
  • i giovani di 22 anni che hanno iniziato a lavorare nel 2020 raggiungeranno l’agognato assegno di pensione a 71 anni. L’età più alta rispetto a tutti gli altri Paesi UE.

A fronte di queste condizioni, l’Italia spende di più per l’accumulo pensionistico, con una media più alta del 13,6% rispetto agli altri Paesi UE. Un sistema, dunque, che non funziona ma che è difficile cambiare.

Tra le varie ipotesi c’è quella di tornare ad un sistema retributivo, proprio per tutelare l’ammontare degli assegni futuri. Si attendono decisioni politiche ma nel frattempo non si può non intuire che chiunque desideri andare in pensione con una cifra adeguata dovrà attivare un’integrazione privata.

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