Emilia-Romagna, a quanto ammonta l’impatto economico del disastro idrogeologico

Col passare delle ore si cominciano a fare i conti del costo della devastante alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna.

Ancora difficile, se non impossibile, fare una stima precisa. Ma c’è una certezza: il conto da pagare sarà salatissimo, forse pari a quello presentato dal terremoto del 2012. Eppure qualcosa si poteva fare per prevenire. Come ha fatto una regione limitrofa.

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Emilia-Romagna a quanto ammontano i danni (foto Ansa) – grantennistoscana.it

Fiumi in piena, pioggia a tamburo battente: man mano che passano le ore l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna assume sempre più le pieghe e la portata di una piaga di proporzioni bibliche.

Lo dicono i numeri. Prima di tutto il bilancio umano della calamità: 14 vittime finora (l’ultimo deceduto è un uomo di 84 anni ritrovato senza vita a Faenza, nel fango del cortile di casa) e almeno 15 mila sfollati, 27 mila persone rimaste senza energia elettrice, 544 strade chiuse, 42 comuni colpiti, treni in tilt.

Ma il bilancio dei danni pesa, naturalmente, anche sul piano economico. L’alluvione ha devastato città intere. Sono esondati 23 fiumi, con 280 frane segnalate, 3 mila gli interventi eseguiti dai 1.500 uomini impegnati nelle attività di soccorso.

Danni ingentissimi: ecco a quanto potrebbe ammontare l’impatto del disastro

La pioggia caduta in 36 ore ha colpito al cuore uno dei motori dell’economia italiana. La furia dell’acqua ha messo agricoltura e industria in ginocchio, senza contare le strade e le case che andranno ricostruite. Difficile ancora quantificare i danni delle inondazioni: la conta è ancora in corso ma il costo da pagare per la ricostruzione sarà certamente molto salato.

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Anche Faenza (Ravenna) è stata duramente colpita dall’alluvione (foto Ansa) – grantennistoscana.it

Si parla di parecchi miliardi. Nel frattempo il governo Meloni sta preparando un pacchetto di aiuti, ma l’ammontare delle risorse a disposizione è ancora incerto. Siamo ancora nel pieno dell’emergenza. Quello che è certo è che i campi allagati avranno un costo alto. Gli agricoltori sono tra i più colpiti, al pari degli allevatori (gli animali rischiano di annegare). Per non parlare dell’industria legata alla trasformazione dei prodotti della terra. Ma anche industrie e fabbriche di altri comparti hanno dovuto chiudere per via del disastro.

Un conto pari a quello del terremoto del 2012?

Sta di fatto che il bilancio finale potrebbe essere alto, molto alto. Le stime ipotizzano che possa anche avvicinarsi al conto dei danni lasciato in eredità all’Emilia-Romagna dal pesante terremoto del 2012, superiore ai 12 miliardi di euro.

Per ora si sa che sono oltre 5 mila le aziende agricole nel perimetro compreso tra Forlì, Cesena e Forlì che si trovano letteralmente sommerse dal fango, con danni che oltrepassano il miliardo e mezzo. E si calcolano costi da 6 mila a 32 mila euro per ettaro per i coltivatori di frutta, vite o olivi. Parliamo di un settore che ogni anno fa export per 10 miliardi.

Alluvione in Emilia-Romagna: le mosse del governo

L’Emilia-Romagna, come dicevamo, è uno dei maggiori volani dell’economia italiana. Un motore che da solo vale all’incirca il 9% del Pil. E adesso sono in migliaia le imprese, piccole, medie e grandi, a bussare alla porta del governo per chiedere un intervento urgente.

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Il governo è chiamato ad aiutare l’economia della Regione colpita dall’alluvione (foto Ansa) – grantennistoscana.it

Come prima mossa l’esecutivo targato Meloni ha promesso di sospendere il pagamento delle tasse e dei mutui. Ma sono in arrivo anche provvedimenti a tutela dei lavoratori, 10 mila circa dei quali stagionali che rischiano di trovarsi senza lavoro a causa dell’allagamento dei campi.

Il Consiglio dei ministri martedì prossimo dovrebbe prendere decisioni sui fondi da stanziare per fronteggiare l’emergenza. Per trovare altre risorse si ipotizza il ricorso al fondo di solidarietà europeo, la cui attivazione però non è immediata.

Disastro alluvione: si poteva prevenire?

Nel frattempo ci si chiede cosa si poteva fare, se non per evitare, quantomeno per mitigare l’impatto del disastro. L’Italia non ha speso 8,4 miliardi destinati alla riduzione del rischio idrogeologico, cioè quello dei fiumi che esondano, delle frane e dei crolli. Risorse che erano a disposizione dal 2018 ma bloccate dai cavilli della burocrazia e da una carenza di progettualità.

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L’impatto economico del disastro idrogeologico è enorme (foto Ansa) – grantennistoscana.it

Del resto, come hanno ricordato gli esperti in questi giorni, addossare la colpa soltanto al cambiamento climatico sarebbe una comoda (ma menzognera) autoassoluzione di fronte al possibile che si poteva fare e non si è fatto. E che fa dimenticare che quanto accaduto deriva da un mix di eventi. I cambiamenti climatici amplificano le conseguenze dei dissesti legati a un territorio altamente fragile e trascurato.

A essere tirata in ballo è la gestione poco attenta del territorio, la scarsa manutenzione dei fiumi, il consumo eccessivo del suolo. L’Emilia-Romagna infatti è una delle regioni italiane più cementificate, con edifici (forse condonati nel corso del tempo) vicini agli argini dei fiumi, dunque anche in zone a rischio. Di conseguenza «l’impermeabilizzazione del suolo rende il territorio meno in grado di assorbire l’acqua», spiega all’AGI Francesca Giordano, ricercatrice dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).

Un esempio di prevenzione anti alluvione: il Veneto

Eppure qualcosa si potrebbe fare per prevenire: come aumentare le casse di espansione in grado di contenere le piene dei fiumi, rinforzare gli argini dei corsi d’acqua. Come ha fatto ad esempio il Veneto. La disastrosa alluvione che ha inondato svariati chilometri dell’Emilia-Romagna nasce da 300 mm di pioggia caduti in poco tempo. Una quantità enorme, ma che rappresenta meno della metà dell’acqua piovuta dal cielo quando sul Veneto si abbatté la tempesta Vaia. Allora furono 700 millimetri gli accumuli di pioggia, vale a dire 700 litri di acqua per ogni metro quadrato.

Ma in quella circostanza non ci fu nulla di paragonabile al disastro di questi giorni. Come fece il Veneto a salvarsi? Investendo nelle infrastrutture. Memori della devastante alluvione che due anni prima, nel 2010, aveva sferzato le province di Vicenza e Padova i veneti pensarono a costruire grandi opere capaci di tenere in caso di maltempo estremo.

Tra queste i bacini di laminazione, ovvero quelle aree destinate a ospitare il momentaneo surplus di acqua impedendole di provocare danni biblici. Furono costruiti 5 bacini, per una spesa di tre miliardi e mezzo di euro. La tempesta Vaia non mancò di fare danni (oltre 100 frane e migliaia di alberi abbattuti dai venti da uragano). Ma il conteggio finale dei danni fu nettamente inferiore al bilancio delle devastazioni causate dall’alluvione precedente, quella del 2010, pure di una furia distruttrice molto minore rispetto a quella di Vaia.

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